Il tramonto di un pomeriggio fiammingo. È questa l’ambientazione scelta dalla Fiorentina per dipingere il suo più riuscito autoritratto. Un’opera fatta in parte di dramma, ma soprattutto di follia. Quella follia che ti fa credere di poter essere chiunque e di poter raggiungere qualsiasi risultato. La follia di un allenatore pazzo che ha infettato una squadra intera ,convincendola a credere di essere fatta per vincere. A Bruges , o Brugge fate voi, la Fiorentina di Italiano ha toccato in una partita i suoi massimi livelli. Ha mostrato i suoi limiti - dei quali è più consapevole di tutti noi, intendiamoci - e la sua voglia feroce di superarli. Sempre fedele a sé stessa, ha manifestato il senso più logico del suo essere illogicamente nata per provare a vincere contro chiunque. Il Brigge non è scarso, anzi, è una squadra filosoficamente opposta alla Fiorentina, che gioca in maniera solida e aggressiva e che tiene conto dei suoi limiti. Ma è proprio questa lucidità, questo saper analizzare l’andamento della partita che ha portato la squadra belga, una volta ripreso in mano le sorti della sfida, a riconoscere che contro quella squadra folle poteva non finire bene. Il Brugge ha capito che i matti in viola non erano arginabili e si è difeso con la speranza, forse quasi le certezza, dell’ennesimo harakiri di Italiano e dei suoi ragazzi. Ma ieri c’era troppo viola nel cielo sopra Bruges. Il gol del vantaggio è risultato inutile come una birra dei frati trappisti in una sera di quelle in cui vuoi dimenticarti pure il numero civico di casa, la Fiorentina ieri era semplicemente invasata. Come quei guerrieri berserkr che non sentono colpi e ferite, i ragazzi in viola non si sono fatti piegare nemmeno da tre pali colpiti. La squadra folle di un allenatore pazzo a Bruges ha fatto la storia. Per fortuna è anche la mia.
Il mal d’Africa è una cosa che fino a due settimane fa io consideravo una cazzata inventata da qualche turista per giustificare il viaggio appena fatto. Avevo una marea di timori e pregiudizi che non mi permettevano di concepire come fosse possibile avere nostalgia dell’epicentro del terzo mondo. E invece scopro sulla mia pelle che di questo, come di tante altre cose, non sapevo proprio un cazzo. L’Africa ti entra dentro. È incredibile come un posto così sporco, così lontano dal nostro concetto di pulizia, riesca a ripulirti così a fondo. Kaolack è una città che non ha niente di turistico. L’intero agglomerato urbano è un’insieme di macerie, case storte che tentano di ergersi, sabbia, monnezza sparsa e scheletri di vecchie auto depredate di qualsiasi parte minimamente funzionante. Per le strade caotiche e dissestate si sviluppa una specie di vorticoso ballo a 70 all’ora in cui esseri umani, automobili, motorini, animali e carri a trazione asinina si sfiorano incessantemente...

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