Non mi piacciono le semplificazioni, in nessuna discussione, tanto meno in quelle sul calcio. Però certe volte le motivazioni di determinati accadimenti sono semplici. Almeno alla radice. Ieri a Bergamo è andata in onda l’ennesima pagina del manuale Viola della rinuncia alla gioia, col solito schema che passa dall’illusione alla delusione in pochi minuti. La Fiorentina ha affrontato discretamente la gara, per una buona mezz’ora ha disinnescato gli orobici con un uomo in più in mezzo (Bove) con l’ordine di raddoppiare su chiunque a centrocampo. Una tattica che è potuta essere anche offensiva per merito dello stato di grazia fisica di un Kean onnipresente nel puntare la difesa avversaria negli spazi e sempre in grado di reggere botta contro il suo avversario diretto. La squadra di Palladino, grazie alla superiorità numerica, ha impedito i collegamenti dell’Atalanta con gli esterni e mandato momentaneamente in tilt le marcature uomo su uomo di Gasperini a centrocampo. Poi, in un paio di minuti, è cambiato tutto. Come mai? Ho sempre odiato la standardizzazione nella descrizione del giocatore perfetto. Soprattutto a livello fisico. Non ho mai sopportato i falsi dogmi sulle misure ideali che dovrebbero avere i calciatori, soprattutto perché il calcio si gioca con il cervello e la tecnica. Ma certe caratteristiche fisiche diventano funzionali se si sceglie un certo modo di giocare a calcio. E la differenza (per me) tra Atalanta e Fiorentina ieri aveva le sue radici nei chili. I chili diventano importanti quando vuoi fare una cosa come aumentare l’aggressività a centrocampo, quando vuoi spostare il gioco in avanti, quando vuoi far perdere profondità all’avversario. Ecco, ieri, per me la partita è cambiata quando l’Atalanta ha cominciato ad usare il fisico. Quando De Roon ed Ederson si sono mangiati fisicamente Cataldi e Mandragora, quando Bellanova ha provato a spingere indietro quel Gosens assassino della prima mezz’ora, quando la difesa nerazzurra ha cominciato ad accorciare sui portatori di palla Viola. I gol atalantini sono arrivati principalmente per altre ragioni, è vero, ma il cambio di atteggiamento dell’Atalanta, è stato reso possibile dal gap fisico tra le due squadre. Due squadre che in teoria dovrebbero basare le proprie difese e la propria aggressività sull’uno contro uno, cose per cui mi pare chiaro che la Fiorentina è poco strutturata. In attesa di capire che bestia è Moreno e di sapere se Pongracic uscirà mai dalla saudage per la difesa a quattro, al momento ci ritroviamo difensori centrali che possono cercare l’anticipo ma difficilmente contenere fisicamente l’avversario. Motivo, questo, per il quale prendiamo diversi gol davanti al portiere. I giocatori lo sanno e per questa consapevolezza continuano a difendere poco sull’uomo, lasciando spazio. Il centrocampo offrirà pure diverse caratteristiche assortite ma l’uscita di Amrabat ha tolto l’unico elemento in grado di assorbire la fisicità avversaria, provando ad imporre la sua. Abbiamo un centrocampo bellino, scolasticamente valido ma privo del peso adatto per invertire fisicamente l’inerzia della partita. Davanti Kean sta bene, molto bene, ma è inimmaginabile un’annata passata a prendersi le botte di tutti. I chili e i centimetri non fanno il giocatore, insomma, ma permettono determinati principi di gioco. Il problema non è difendere a tre o a quattro, ma capire i principi di gioco ideali per le caratteristiche (tutte le caratteristiche) che ha la squadra. Questa squadra al momento non è adatta per aggredire uomo su uomo, si può migliorare, certo, ma certe peculiarità mancheranno sempre e sempre sarai in difficoltà contro chi la pensa tatticamente come te ma ha in dote le misure giuste.
Il mal d’Africa è una cosa che fino a due settimane fa io consideravo una cazzata inventata da qualche turista per giustificare il viaggio appena fatto. Avevo una marea di timori e pregiudizi che non mi permettevano di concepire come fosse possibile avere nostalgia dell’epicentro del terzo mondo. E invece scopro sulla mia pelle che di questo, come di tante altre cose, non sapevo proprio un cazzo. L’Africa ti entra dentro. È incredibile come un posto così sporco, così lontano dal nostro concetto di pulizia, riesca a ripulirti così a fondo. Kaolack è una città che non ha niente di turistico. L’intero agglomerato urbano è un’insieme di macerie, case storte che tentano di ergersi, sabbia, monnezza sparsa e scheletri di vecchie auto depredate di qualsiasi parte minimamente funzionante. Per le strade caotiche e dissestate si sviluppa una specie di vorticoso ballo a 70 all’ora in cui esseri umani, automobili, motorini, animali e carri a trazione asinina si sfiorano incessantemente...

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